La sindrome di Hunter, conosciuta scientificamente come mucopolisaccaridosi di tipo II o MPS II, è una malattia metabolica rara causata dalla carenza dell'enzima iduronato-2-solfatasi. Questa patologia fu descritta per la prima volta nel 1917 dal medico canadese Charles A. Hunter, da cui ha preso il nome. Si tratta di una malattia da accumulo lisosomiale estremamente rara, con un'incidenza stimata di circa un caso ogni centomila o centosessantamila nati maschi. Nel mondo si stima che vi siano meno di diecimila persone affette da questa condizione, che rappresenta una delle forme più complesse tra le mucopolisaccaridosi.
La peculiarità di questa malattia risiede nel suo meccanismo: la carenza dell'enzima determina l'accumulo nei lisosomi di due specifici mucopolisaccaridi, il dermatan-solfato e l'eparan-solfato, sostanze normalmente presenti nel tessuto connettivo che dovrebbero essere degradate dall'organismo. Quando l'enzima mancante non è in grado di svolgere il suo compito, queste molecole complesse si accumulano progressivamente in vari organi e tessuti, causando danni che si manifestano nel tempo e coinvolgono praticamente tutto l'organismo, dal cuore al cervello, dalle ossa al fegato.
Trasmissione genetica e popolazione colpita
La sindrome di Hunter presenta una caratteristica distintiva rispetto ad altre mucopolisaccaridosi: è l'unica mucopolisaccaridosi a trasmissione recessiva legata al cromosoma X. Il gene responsabile della malattia è localizzato sul cromosoma X nella regione Xq28, e sono state identificate circa trecentoventi diverse mutazioni che possono causare la patologia. Questa peculiarità genetica spiega perché la malattia colpisce prevalentemente i maschi, che possiedono un solo cromosoma X e quindi non hanno una copia di riserva del gene funzionante.
Le femmine possono essere portatrici sane della mutazione e trasmetterla ai figli maschi, che avranno il cinquanta per cento di probabilità di essere affetti. Molto raramente le femmine possono essere affette, generalmente solo in situazioni genetiche particolari. Questa modalità di trasmissione rende fondamentale la consulenza genetica per le famiglie con casi diagnosticati, permettendo di valutare i rischi nelle gravidanze successive e offrendo la possibilità di effettuare una diagnosi prenatale mediante amniocentesi o prelievo dei villi coriali.
Manifestazioni cliniche e forme della malattia
Alla nascita i bambini con sindrome di Hunter appaiono normali e sani, poiché i sintomi esordiscono tra i diciotto mesi e i quattro anni. I primi segnali sono spesso aspecifici e facilmente confondibili con disturbi comuni dell'infanzia: infezioni ricorrenti delle vie respiratorie, otiti medie frequenti, ernie ombelicali o inguinali e diarrea cronica. Con il passare del tempo, il quadro clinico diventa progressivamente più caratteristico, con lo sviluppo di lineamenti del viso grossolani che includono labbra e narici ispessite, lingua grande e prominente, e una testa insolitamente grande rispetto al corpo.
Esistono due forme principali della sindrome di Hunter che differiscono per gravità e prognosi. La forma A è quella più severa, con esordio precoce e caratterizzata da macrocefalia, ritardo mentale e disturbi dell'umore e del carattere che comportano un'aggressività anormale. Questa variante può portare al decesso intorno al quindicesimo anno di vita. La forma B, invece, ha un'insorgenza più tardiva ed è meno grave, permettendo ai pazienti di sopravvivere fino all'età adulta, con un'aspettativa di vita che può raggiungere i sessant'anni nei casi più lievi. Il coinvolgimento neurologico rappresenta la principale differenza tra le due forme, essendo presente e progressivo nella forma A mentre assente o minimo nella forma B.
Diagnosi e possibilità terapeutiche
La diagnosi della sindrome di Hunter si basa inizialmente sul riconoscimento dei segni clinici caratteristici e sulla storia del paziente. La diagnosi viene confermata dall'aumento dei livelli di dermatan-solfato e eparan-solfato nelle urine e dalla presenza del deficit enzimatico nel siero, nei leucociti o nei fibroblasti. I test genetici possono identificare le specifiche mutazioni del gene IDS, fornendo una conferma definitiva della diagnosi e permettendo di offrire consulenza genetica appropriata alla famiglia.
Attualmente non esiste una cura definitiva per la sindrome di Hunter, ma sono disponibili trattamenti che possono migliorare significativamente la qualità di vita dei pazienti. In tutti i pazienti dovrebbe essere presa in considerazione la terapia enzimatica sostitutiva settimanale per endovena, per attenuare i sintomi somatici. Questa terapia consiste nell'infusione dell'enzima ricombinante mancante, che aiuta a ridurre l'accumulo di mucopolisaccaridi negli organi, rallentando la progressione della malattia. Oltre alla terapia enzimatica, sono necessari interventi chirurgici specifici come la correzione delle ernie, la rimozione di adenoidi e tonsille per liberare le vie aeree, e nei casi più gravi la sostituzione valvolare cardiaca o interventi ortopedici. Di recente, si stanno sperimentando approcci innovativi come la terapia genica, che in alcuni centri specializzati ha mostrato risultati promettenti nel ripristinare la produzione dell'enzima mancante.
